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i 10 peccati più grossi della mia vita

In Uncategorized on 11 aprile 2010 at 23:34

Mi trovo di nuovo qui, dopo diverso tempo, non so quanto e non voglio andare a scoprirlo perchè non voglio conoscere l’esatta misura del tempo durante il quale non ho scritto qui. E questo, per sfuggire all’occasione prossima di peccato di uno dei miei più grandi peccati. L’esattezza. E preferirei guarire da quella che appare più ancora come un’ossessione, che come un peccato. Riflettevo, in questi giorni, sulla sana utilità di una sorta di lavanda cerebrale, un lavaggio delle abitudini reiterate, degli innocenti tic trasformati in difetti nel corso degli anni e incagliati, definitivamente, dentro all’orizzonte delle manie. Dannose, in massima parte. Riflettevo e valutavo l’opportunità di liberarsi dal doloroso guardarsi ripetere gli stessi errori, sempre. E mi sono accorta di come, questi errori, siano dovuti a una serie di abitudini comode e sedimentate. O, chiamiamoli peccati.

Io ho peccato di ingordigia. E tanto, perchè se non l’avessi fatto in modo eccessivo, non potrei dirmi davvero ingorda. Quando una cosa mi piace, non riesco a gestirne la misura. Questo, esperienza insegna, consuma deglutisce e mastica e digerisce tutto insieme in ogni secondo e ogni minuto. E il tempo assume un senso diverso. E quello che è stato consumato deglutito e masticato e digerito, a un certo punto, senza preavviso, non esiste più. Perchè è stato privato di tutta l’energia che aveva, di tutta l’energia che la mia ingordigia ha sfruttato.

Io ho peccato di assenza. Da me stessa. Il mio tempo, fuori da me, non rientra in me. Disperdo le mie attenzioni su altri corpi, diversi dal mio. Su altri sentimenti, diversi dai miei. Sui bisogni che sono di chi ne ha bisogno.

Io ho peccato di sincerità. Non tutto quello che penso preme per essere raccontato e spiegato e condiviso. Quello che penso, a volte, ferisce e un attimo dopo si rincorre da solo per fermarsi e chiedere scusa. Io ti odio. No non è vero non è esattamente così è solo che certe volte sai.. ma è un problema mio, sono sempre stata così e non mi controllo.. no davvero non volevo dire, anche se forse.. Non tutto quello che penso è vero. Non tutti vogliono sapere tutto quello che penso. Spesso, mi accorgo appena dopo aver detto di non aver nessuna voglia di dirlo.

Ho peccato di impazienza. Tutto e adesso. E se non posso faccio in modo di potere, faccio in modo che sia che arrivi quel tutto e adesso. Così non capisco mai che nel frattempo l’adesso si è trasformato in un passato fatto di tentativi di rispondere all’impazienza e il futuro è fatto di tentivi di rispondere all’inpazienza. E vagoni interi di ansia si spostano sui binari in ogni direzione.

Ho peccato di ansia. Per domani. O addirittura forse già per stasera. Che almeno guadagno tempo, così non mi viene l’ansia di essere in ritardo.

Ho peccato di contegno. Non ho mai toccato davvero il fondo quando avrei potuto farlo.

Ho peccato di impulsività razionale. Semplice riassunto di cosa significa. Tendenzialmente si manifesta all’avvicinarsi di una decisione da prendere. Si tratta di un folle delirio di pensieri razionali a proposito della situazione in cui sono coinvolta, distribuiti in una successione casuale e ripetitiva, come una catena, una ruota, un loop che si ripete, durante il quale adduco motivazioni, stilo ipotetiche liste di pro e contro, tiro in ballo i precedenti storici, le esperienze passate……fino a che, all’improvviso, di solito sbagliando i tempi comici e anche quelli drammatici, e di solito pentendomene immediatamente dopo, il ciclo ripetuto di pensieri inaspettatamente si interrompe e faccio una cosa…a caso. Di solito quella scartata dall’inizio, subito. Dopo averci pensato ore.

Ho peccato di definitività. Pur credendo il contrario e sentendomi libera dalle definizioni e dal credere che le decisioni siano definitive e immutabili. La paura di sbagliare, dietro ogni momento, è celata da qualcosa che sembra solo insicurezza. Non è dentro ad ogni secondo che vive la possibilità di determinare il futuro con una scelta. E soprattutto, la scelta, non conduce al regno dell’immutabile.

Ho peccato di pigrizia. Sopra ad ogni cuscino che ho incontrato, dopo l’inizio di ogni avventura che ho vissuto.

Ho peccato di indulgenza, verso tutti. Ho peccato di incoerenza, arroganza, durezza e serietà. Ho peccato di altro ancora e vorrei che queste righe qui sopra segnassero un confine e rappresentassero l’inizio di una svolta. Ma non vorrei peccare di ingenuità.

fraconforte. di franco e forte

In Uncategorized on 25 febbraio 2010 at 21:22

The first one is Franco.
Alto e austero. Metallico, del colore di una banca. Ariano, ovviamente. La mattina non arriva mai tardi al lavoro, a pranzo non si scompone, non si sporca, non sbaglia. Lui non sorride, non di sua iniziativa. Ama i sapori forti di un cetriolo sott’olio con salsa yoghurt il tutto sostenuto da carne di agnello kebab style, ma non rutta bevendo quella strana bevanda creata dalla copulazione di una cocacola con una fanta.

Al suo fianco arriva sempre Forte.
Originario del bangla-yard, sorride, tiene aperta la porta per te se devi passare, ti racconta di come quella volta che è stato in Italia ha mangiato quel cibo delizioso perchè non cosparso di grassi insaturi, ma nonostante questo ama mangiare cose cosparse di grassi insaturi. Si lamenta del’assenza di sole nella sua città ed è capace di stilare, per trenta minuti, insieme a te liste di locali in cui andare, scaricandoti le mappe esatte per arrivarci, in ognuno di essi.

Nè Franco nè Forte conoscono il concetto di offrirsi reciprocamente qualcosa, come un caffè, un pranzo, un bicchiere d’acqua. Sono distrutti, entrambi, dalla quantità di neve caduta in città, durante l’inverno che (sembra) ora va verso la primavera. Amano le mele. Verdi, rosse, anche trasparenti… mele.

A volte Franco ma più spesso Forte, ti offrono di uscire con loro, per una birra davanti alla partita del Werder Brema.

francoforte. the cage experiment.

In Uncategorized on 24 febbraio 2010 at 11:16

francoforte. the cage experiment.
Just like animals in a cage. We’re feeling like that. Si tratta della mia tendenza a drammatizzare, ovviamente, ma un po’ di malessitudine c’è. Piuttosto vicini al concetto di abbandono a noi stessi, dentro al molto molto e forse troppo, metallico palazzo di mele e palme, ci sosteniamo a vicenda, nella confusione. A consolarci, un’inaspettata empatia che viaggia verso l’amicizia e la condivisione di un certo perfezionismo di chi viene dalla provincia e da lì se n’è andato. Il senso dell’umorismo sempre sveglio, in entrambi, ci mette sulla faccia un sorriso che qualcuno di loro probabilmente giudica davvero italiano e contraccambia. In fondo sono freddi, i tedeschi, ma solo le prime tre volte che ti incontrano in corridoio. Successivamente, può capitare che si avvicino a te durante il pranzo (sempre tra le palme..) giocando a far suonare le cannucce tese tra due dita di un altro corpo tedesco (non sono impazzita, loro casomai sì, con quest’ossessione di divertirsi in questi modi!) e regalarti sinceri sorrisi di accoglienza, ma con misura. Nel frattempo passano, davanti alla nostra porta a vetri proprio di fronte all’ascensore e osservano noi che osserviamo. the italian cage experiment. Vedremo che succede.

francoforte. day one and a half.

In Uncategorized on 23 febbraio 2010 at 09:55

francoforte. day one and a half.

weird food.
credo sia il modo più giusto per iniziare a parlare della germania in modo realistico. e di questa giornata.
un disguido burocratico ci costringe a iniziare senza colazione, sacra frontiera di una permanenza in albergo, mentre l’arrivo nel lb building di francoforte ha il sapore dello smarrimento e di un caffè dal retrogusto al caramello.

all is full of food.
una caffetteria/cucina/mensa (con calcetto annesso) nasconde muffins a pagamento dentro a una bacheca german style, panini con ogni genere di salumi tedeschi, più correttamente detti salami.
tutt’intorno, palme. finte. (ma non ne sarei così sicura, gli allemands sono così pieni di sorprese… e in effetti il tetto dell’edificio ricorda così tanto quello di una serra che non sarebbe così fuori luogo credere anche nella coltivazione della marijuana. se non fosse che si tratta delle persone più fredde e contrarie ai sorrisi che abbia mai incontrato. (superati in questa disciplina solo dal pubblico di Zurigo del concerto di Beyoncé)

brief, debrief, rebrief.
mi raccomando, vediamoci alle 8 e mezza!! la sveglia si rifiuta di buttarmi giù dal letto, probabilmente ho provato a corromperla e ci sono riuscita..ma arriviamo comunque puntuali, io e il mio diligentissimo compagno. e del tutto inutilmente.
segregati in una stanza a spremere il nostro prezioso cervello, emettiamo proposte che solo ore più tardi ci risulteranno simpatiche e un po’ italiane. il mondo tedesco non si scompone granchè. ma una sua parte, perlomeno, ci ascolta.

guten nacht.
è questo che mi piace dire più di tutto, quando esco dall’ultimo locale la sera. mi sento così nazionalpopolare, anche se di un altro paese, in fondo, ce l’ho nel sangue e mi adatto al nazionapopolare all around me.

good night.
questa sera il mio cervello frigge parole in inglese come se fossero bacon and benedict eggs… and so can’t you see? it’s all about …. food, ronaldmacdonalds, YOU win.

francoforte. arrivo.

In Uncategorized on 22 febbraio 2010 at 09:20

Dall’aereo, sotto le nuvole, si vedono le montagne innevate. Attraverso le nuvole, la cima di alcune montagne, quelle più alte, spunta fuori in lontananza. I colori del cielo, oltre le nuvole, lasciano senza fiato. Lasciatemi la banalità, lasciatemi il romanticismo dell’essere sospesa in aria.
Stranamente rilassata, ben lontana dallo stress e dal panico da volo, il viaggio dura poco più del pensiero di farlo.

L’aeroporto di Frankfurt è immenso, immenso. Tutta la mia origine provinciale si esalta di fronte allo scintillio dei metalli e delle luci e delle porte scorrevoli e dei nastri trasporatori e dei portabagagli e della gente facce suoni lingue, dentro cui scivolare.

Come da copione, una receptionist troppo receptionist e troppo tedesca aggredisce il mio torpore incantato.

Una stanza da albergo di questo tipo di alberghi, mi fa sentire un uomo d’affari. Specchi. Frigobar. Tessere magnetiche per attivare tutto (forse persino l’ingresso nel letto).

Un locale tedesco, molto tedesco, in cui bere birra, ascoltare la versione altrettanto molto tedesca di Grazie perchè di Gianni Morandi e Amii Stewart e parlare della vita, con chi è partito inaspettatamente come me, con me. Ridere.

Aria di germania, fredda. Salsicce non crauti, potato salad.
Connessioni internet che non ci sono, ma io sono qui a scrivere e a non pubblicare, forse domani.
Albergo ora, non a ore.
Uomo d’affari in visita di piacere.
Donna di piacere in visita d’affari.
Buonanotte, francoforte. Domani ci conosciamo meglio.

francoforte. vai.

In Uncategorized on 22 febbraio 2010 at 09:19

E’ il testo dell’sms che mi ha spedito il capo giovedì sera. Io, indecisa tra l’esultanza e il dubbio, ho immediatamente risposto nel mio stile disilluso: si tratta della conferma che parto o è il titolo del mio nuovo post?

La risposta? Nello stile del capo: entrambe le cose, mi ha scritto.
Eccitata, confusa, davanti al mio nuovo trentadue pollici che potrebbe trasmettere qualsiasi cosa tanto è trentadue pollici e guardo solo quello, ho letteralmente scheccato per dieci minuti insieme al mio superamico al fianco, sul divano.

francoforte, vai.

un viaggio di una settimana, un lavoro di una settimana, in germania per una settimana.
un post al giorno. da frankfurt.
si parte.
francoforte, vai.

italians do it better

In Uncategorized on 16 febbraio 2010 at 01:00

Donne uomini e animali, italians do it better.
Madonna se l’è scritto su una maglietta nel 1987, nel video di Papa don’t preach. video che non trovo in youtube, nonostante le mie disperate ricerche. e proprio le mie disperate ricerche mi hanno condotta a fare una disperata ricerca su youtube. perchè grazie alle mie disperate ricerche sono arrivata a sapere che la scritta Italians do it better era stampata sulla maglietta che indossava Madonna nel video di Papa don’t preach nel 1987. Ma prima di arrivare a questo, sappiate, ho dovuto attraversare ben altro. Che ora condividerò, perchè questo è ciò che va fatto. Questo post è fatto di amenità trovate in rete, trasformate in link per voi!

Digitando Italians do it better in google e cliccando invia, non mi è risultato nulla di particolarmente interessante. Ma solo all’apparenza. Ho subito intuito che doveva esserci qualcosa di più.

Come un noiosissimo sound di un noiosissimo gruppo niu-yorchese che si definisce emo/club e mi sugerisce che l’emo club è un genere che possono fare tutti, unendo GarageBand a scarso talento e poca voglia di vivere. Sono davvero di una noia imbarazzante e un po’ esoterica, non riesco a spegnere il player del loro myspace. Sono come ipnotizzata dalla devastante noia sonora. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa iuto.

Ce l’ho fatta, sono libera da loro. Posso inoltrarmi in “…Un testo divertente e provocatorio sull’immagine del macho italiano; corredo di esercizi di lingua italiana per stranieri. Materiali didattici di Scuola…..” ben consapevole che questo link mi piacerà da morire. Ma …….non pensavo…. potesse offrirmi COSI’ TANTO ORRENDO ADORABILE MATERIALE! Senza soffermarmi nel layout a inizio pagina, mi concentro subito sulla parte testuale e, a perdifiato, comincio a leggere. Scopro così le fondamentali distinzioni tra un italiano (o uno spagnolo o un greco – la barzelletta) e una persona del nord-Europa e mi appassiono in particolare alla distinzione tra la sessualità di un protestante vs. quella di un cattolico. E poi all’improvviso, perdo la testa. Letteralmente. Perdo la testa. Quando, scorrendo la pagina, vedo avanzare sotto al testo una deliziosa galleria fotografica, la cui natura si avvicina indifferentemente a un fotoromanzo del millenovecentoottantuno o a una ricostruzione drammatizzata di un fatto di cronaca. Scelta libera.

L’introduzione a questo breve racconto per immagini dice: “Ed ecco qui sotto un piccolo “Rodolfo Valentino” del 2000 (del 2000????su quale pianeta hai scattato questa foto nel 2000?) che esibisce tutta la sua classe di macho latino nell’abbordare una ragazza”, mentre la narrazione è divisa in capitoletti L’APPROCCIO – L’AZIONE – L’ERRORE – IL COLPO DI GENIO e… CONTATTO! il cui testo dice: “Mi hai sorriso? Allora mi presento, se non ti dispiace… come? Sei straniera? Ah, ho capito… Du-iu-spik- inglish?” Grazie, Roberto Tartaglione (l’autore della pagina) per la passione che metti nell’insegnare l’italiano agli stranieri.
(e per aver dedicato anche un’adorabile inciso all’abbordaggio tra machi latini gay)
(ah.. -giuro è l’ultimo ringraziamento roberto-, grazie anche per la parte vero o falso, adoro i vero o falso)

A fatica, mi sono staccata dalla pagina di -roberto tartaglione insegnante di italiano- e mi sono avventurata alla ricerca, disperata si diceva, del video di Papa don’t preach, dopo aver scoperto grazie a wikipedia che è proprio in quel video che Madonna indossava la maglietta che ha ispirato la lezione di italiano di roberto tartaglione insegnante di italiano.

Invece, a parte il video (bellissimo) del live (bellissimo) di Madonna, ho trovato solo un video inquietante e di cattivo gusto. E questa notte farò gli incubi a base di personaggi con gli angoli della bocca rivolti in basso come quelli di questo inutile disastro dell’animazione mondiale. E mi chiederò durante tutto il tempo del sogno se fosse proprio necessario, realizzarlo. Se quella perona abbia sentito proprio il bisogno indomabile di dedicare un tributo a Papa don’t preach con un’animazione horror e una canzone diversa da Papa don’t preach in sottofondo. Che (forse) è un po’ emo/club. Non riesco a smettere di parlare nemmeno di questa chicca. Allora, facciamo le cose per bene e vi segnalo il minutaggio. (In questo post ho deciso di spolverare un po’ di nerdismo)
Vi suggerisco a 00:31 qualche secondo (un bellissimo vomito) e ancora, andate a 01:12 per godere della gestualità di lui come se stesse esultando in un film di aldo giovanni e giacomo (lui, comunque, ha le tette e lei quando piange mi fa paura), poi a 01:55 lei ha un’amica di colore e un’amica emo e io non ne vedo proprio il motivo e a 03:14 stanno sul letto con le scarpe e mi infastidisce. Grazie autore del video peggio realizzato di sempre di..papa don’t preach. O, almeno quello che tu credi che sia inerente a quella canzone, in qualche (per noi) misterioso modo che a te risulta evidente. Ma questo, nel post dedicato ai link e alle immagini sceme, non fa che renderlo un video da segnalare.

nota postuma:

HO RICEVUTO UNA SOFFIATA STANOTTE ECCO IL VIDEO DOVE LEI INDOSSA LA MAGLIETTA!!
(GRAZIE GIULIA, NO NON SONO IO NON SONO COSI’ EGOTICA DA RINGRAZIARMI)

dieci buoni motivi per licenziarmi (o anche solo 5)

In Uncategorized on 11 febbraio 2010 at 01:06

no non sono impazzita. e non mi sono nemmeno sbagliata o confusa..e non ho deciso di scrivere un post dallo stesso titolo. non l’ho deciso io: il capo, è stato lui a decidere di darmi lo stesso identico post di ieri.
quindi, dopo i trenta secondi di sgomento che ho provato nel riceverne la comunicazione, ho iniziato a pensare che questo sarebbe un ottimo motivo per licenziarmi.

il fatto che mi metto a scrivere i post a quest’ora, senza alcun tipo di lucidità, sarebbe un buon motivo per licenziarmi. il fatto che io debba scrivere i post, uscita dal lavoro, come se fosse un lavoro, sarebbe allo stesso modo un buon motivo per licenziarmi.

sapere che scrivo i post nel letto, come se non fosse un lavoro è un b.m.p.l.
dover scrivere i post nel letto, come se non fosse un lavoro è un b.m.p.l.

non riesco ad uscire da questa ambiguità del mi licenzio io o mi licenzi tu???.. e ho quasi paura che da domani, anche di persona in ufficio e fuori dal tunnel di questo blog, potrei cominciare a pensare.. ecco vedi, questo è un buon motivo per licenziarmi… ogni mezz’ora.

aver compiaciutamente desiderato di andare al cinema per vedere un film essenzialmente basato su:
– suonerie di telefoni cellulari e fissi, le più svariate
– dialoghi scritti dagli autori di Harmony
– porte di casa lasciate aperte per … correre ..dietro a qualcuno in mezzo alla strada
– attacchi persistenti di ASMA che affligono gli attori per tutti i 130 minuti
(in due parole: baciami ancora)
mi rende una persona passibile di licenziamento e costituisce quindi un b.m.p.l.

aver deciso di andarci dopo una giornata di lavoro e un conseguente stato confusionale, mi sembra un b.m.p.l.

questo blog è un b.m.p.l.
(buon.motivo.per.lavorare)

quest’ultima affermazione, invece, mi ha resa un ruffiana.
ma lo penso davvero.. questo blog è un buon motivo per lavorare. ottimo. anche se ora sono stanca e vorrei dormire, capo, ma ho una ragione per essere stanca e voler dormire, posso giustificarmi dicendo che ho visto un film di muccino e mi ha molto stressata, lo sa anche lei capo, quelli urlano e hanno sempre l’affanno e anche i figli dei protagonisti dei suoi film, secondo me, prendono gli psicofarmaci e infatti urlano anche loro e sono dei bambini dissociati e hanno il terrore negli occhi, io l’ho visto, GIURO, negli occhi del figlio della Impacciatore (Livia), nella scena in cui sono a cena, negli occhi di quel bambino c’era un grido, una richiesta d’aiuto che diceva:
<<<<aiuto!gabrielemuccino mi ha detto di ansimare, sempre, anche col cibo in bocca
.>>>>

e allora mi sono stressata. e le mie sopracciglia si sono inarcate e sono così da ore, perchè guardando un film di muccino ti senti un trentenne e un quarantenne fallito e triste e ansimante e in automatico ti viene l’espressione tipica che dovrebbe avere stefanoaccorsi se sapesse recitare e che aveva invece (ma non è voluta..è una pura coincidenza) adriano giannini (quello pieno di peli in faccia nel film).
Poi ho l’asma e l’occhio abbassato come claudiosantamaria.
chiedo scusa, capo.
puoi anche licenziarmi, se vuoi.

e comunque, cari signori che hanno scritto Baciami Ancora, (anche se nei titoli di coda c’è scritto scritto e diretto da gabriele muccino io so che vi nascondete lì da qualche parte come quelli che scrivono i libri di ken follet) volevo aggiornarvi sul fatto che in una riunione, oggi, per presentare le idee di comunicazione pubblicitaria ai clienti

si usano i computer

mac o pc.
elaboratori elettronici– e non dei fogli A4 incollati su cartoncini neri.

dieci buoni motivi per licenziarmi (o anche solo 5)

In Uncategorized on 10 febbraio 2010 at 00:22

tra le 21 e le 21.30 ho provato a telefonare al capo sette volte circa, non mi ha risposto. ho insistito. non mi ha risposto. questo è il primo buon motivo per licenziarmi.

no, non mi sono (ancora) innamorata di lui, no non è per questo che ho insistentemente tentato di parlargli.. la ragione per cui ho insistentemente tentato di parlargli era proprio per chiarire il tema di oggi, o meglio per ricevere la disambiguazione, come direbbe wikipedia. infatti, il dubbio immobilizzante che mi ha colta si basa su un doppio significato: l’ambiguità della frase 10 buoni motivi per licenziarmi. non ho capito se.. i 10 buoni motivi (o anche solo 5).. siano i miei motivi qualora io volessi licenziarmi o se siano i motivi che io stessa devo fornire al capo nel caso in cui lui volesse licenziarmi. non ho capito il soggetto attivo dell’azione “licenziarmi” .. e questo potrebbe essere il secondo buon motivo per licenziarmi.

il terzo motivo è che a forza di ripetere la parola licenziarmi mi porto sfortuna.

la bellezza, il talento, il senso dell’umorismo, il fascino, la perturbante presenza in ufficio, gli sbalzi d’umore, il dissacrante senso critico, la condivisione con tutti i colleghi su skype di video con i cani che parlano al telefono, sono tutti ottimi motivi per licenziarmi. (non ho specificato a chi appartengano le caratteristiche elencate..se sono loro mi licenziano poichè ne sono sprovvista, se sono mie potrei licenziarmi poichè loro ne sono sprovvisti).

il fatto che ho smesso di fumare è un buon motivo per licenziarmi, mi sono privata di uno stato cuscinetto tra me e il mondo e il mio nervosismo ha la totale e fastidiosa libertà di riversarsi a ondate sugli altri, rendendomi insopportabile.
(adoro la definizione  “stati cuscinetto” non vedevo l’ora di poterla usare nella vita!!!)

sono (piuttosto) donna.

cagionevole di salute.

non sono tesserata a niente.

sono stata tesserata al fans club di laura pausini (ma avevo 11 anni, siate clementi!)

sono irriverente.

sono polemica.

mi vesto di nero.

ho una risata demenziale.

adoro la mia risata demenziale.

mi piace lavorare.

sono ambiziosa.

ho troppe insicurezze.

sono intelligente.

non sono più capace di cucinare bene.

non ho mai scritto il post i 10 più grandi peccati della mia vita.

mi emoziono per espressioni tipo “stato cuscinetto”.

non so sciare.

mi emoziono per i palindromi.

Forse ho decretato la fine della mia permanenza al lavoro, ho dato ben più di 5 o 10 buoni(ssimi) motivi per licenziarmi. E solo domattina scoprirò la disambiguazione della frase… si torna al punto 1..

erano dieci motivi per me o dieci motivi per te, capo?

ps. psss pssss.. capo, sh! sussurro.. no non posso parlare ad alta voce.. senti.. conservo ancora quell’sms che potrebbe incastrarti in tribunale.. come dici? no no tranquillo… non l’ho fatto leggere a nessuno. no… non ancora.

benedetta malinconia

In Uncategorized on 5 febbraio 2010 at 16:20

non ho mai capito la differenza tra malinconia e nostalgia. le ho sempre usate in modo alternativo, scegliendo l’una o l’altra, randomicamente. il dato statistico, comunque, le vede utilizzate molto spesso, nei miei discorsi e di più nei pensieri. ero malinconica anche a 3 anni credo.

ieri sono stata al cinema e ho visto La prima cosa bella. è un film molto bello. è un film malinconico.

la prima cosa bella che ho avuto dalla vita, è il tuo sorriso giovane sei tu. la senti questa voce? chi canta è il mio cuore. amore amore amore è quello che so dire, ma tu mi capirai.

la colonna sonora è bellissima, tutte quelle canzoni italiane di 4 decenni fa, che (non so perchè) conosco benissimo. la musica, in generale, è malinconica. si insinua nei momenti e si attacca a quelli che diventano ricordi. Goodbye Horses, per esempio, è una canzone che mi riporta a un momento speciale, un saluto caldo in una stanza di fine febbraio e mi rende nostalgica. e per me quella canzone rimarrà quel saluto, per sempre.

questa è nostalgia. il passato che riesci ancora a sentire forte, attraverso gli oggetti. la nostalgia forse è più concreta e a volte ha la forma del rimpianto. c’è una coperta, una di quelle patchwork, di lana, che sarà sempre mia nonna. quella coperta è mia nonna. la malinconia si avvicina più ad una condizione dello spirito. essere malinconici è subire le ondate dei ricordi, sì, anche dei ricordi che non sono tuoi. la malinconia degli anni sessanta, la malinconia dei film, la malinconia delle fotografie in bianco e nero di chissà chi che puoi trovare sui banchi di un mercatino dell’usato. la malinconia è guardare con sensibilità gli occhi degli altri, le loro storie e sentircisi dentro. fa anche soffrire, ma è bellissimo. benedetta malinconia.